Descrizione
Angelo Trevisani (Capodistria, 1656 – Roma, 1746)
Carità Romana
Olio su tela, cm 103 x 115
Nota: Varie etichette antiche sul retro
Bibliografia comparativa
- Ivanoff, Angelo Trevisani, “Bollettino d’arte”, 38, 1953, pp. 57-60;
- Mariuz, Per Angelo Trevisani pittore “di vaga e soda maniera”, “Arte Veneta”, XL, 1986, pp. 108-116;
Denis Ton, Angelo Trevisani fra maniera “vaga” e “naturale”, in “Arte Veneta”, 67, 2010, pp. 55-71.
Provenienza
Proveniente da un’importante collezione romana, Palazzo del Gallo di Roccagiovine al Foro Traiano, il dipinto qui esposto presenta varie etichette antiche sul retro che identificano l’autore in Angelo o in Francesco Trevisani, e ricordano il numero di inventario che il dipinto aveva nella collezione del marchese Roccagiovine.
La famiglia aveva origini liguri, e dal 1847 furono presenti a Roma nel palazzo in Rione Monti, eretto in un punto nel quale ad alcuni metri sotto il piano stradale, si trova l’esedra orientale della Basilica Ulpia, che fa parte insieme ai Mercati Traianei e alle Biblioteche Greca e Latina, e alla Colonna di Traiano, del grande complesso monumentale realizzato da Apollodoro di Damaso, architetto dell’Imperatore Traiano.
Le etichette sul retro ricordano che il dipinto era collocato nella camera dalla quale si accedeva alla cappella.
Iconografia
L’iconografia della Carità Romana deriva da un racconto, narrato nel Factorum et dictorum memorabilium libri IX dello storico romano Valerio Massimo.
Si tratta della storia esemplare di una donna, Pero, che allatta segretamente il padre, Cimone, dopo che lui è stato incarcerato e condannato a morte per fame. Lei viene scoperta da un secondino, ma il suo atto di generosità impressiona i funzionari responsabili che finiscono con il rilasciare il padre. L’episodio è rappresentato come un grande atto di pietas e onore romano.
La forma ovale sembra prestarsi perfettamente per mettere in rilievo l’intreccio complesso di gesti e di abbracci nella composizione: la bellissima figura femminile di Pero è in atto di protendersi verso destra in uno slancio, mentre con una mano regge un rotolo bianco, e con l’altra accarezza l’orecchio dell’uomo alla sua sinistra. Questi, da indentificare con Cimone, indossa un manto rosso che contrasta con il blu di quello di Pero, e rivolge lo sguardo intensamente verso destra, con il torace che sembra starsi rialzando in quell’istante da una posizione più rannicchiata, mentre una delle due mani è appoggiata sul rotolo che è parzialmente appoggiato su un cuscino bianco e verde a righe. Un bimbo paffuto viene raffigurato appoggiato al cuscino, con in mano qualcosa, forse una piuma per scrivere.
Sulle braccia della donna dei braccialetti sottili dorati creano dei riflessi di luce.
L’autore
Il dipinto appare di ottima qualità, e sappiamo dalle etichette che la sua paternità è da attribuire o ad Angelo o Francesco Trevisani, forse più possibilmente al primo dei due fratelli.
Di cultura veneta, Angelo fu allievo di Allievo del pittore Andrea Celesti e Antonio Balestra, e fu molto influenzato da Zanchi, da Piazzetta e da Pittoni. È un pittore di cui si sa ancora poco; sono stati fondamentali gli studi di Nicola Ivanoff e quelli di Adriano Mariuz, e ora gli storici dell’arte si stanno concentrando sul comprendere il ruolo svolto da Trevisani nell’evoluzione del linguaggio del Settecento veneto.
Dalle fonti sono note le sue moltissime commissioni, e ne risulta il profilo di un assimilatore di tutte le tendenze che andavano in quegli anni trasformando la cultura pittorica lagunare. Ancora Luigi Lanzi colse perfettamente questo aspetto della sua arte, la capacità di contaminare spunti differenti, definendo lo stile del maestro: “scelto e conformato in parte alle scuole allora regnanti” aggiungendo, inoltre, che “il suo pennello fu diligente e ricercato, special- mente nell’arte del chiaroscuro”[1].
Come messo in luce nello studio di Denis Ton, l’artista sembra indicare una via di mezzo rispetto sia al classicismo di Balestra o, ancor prima, di Bellucci, sia al neotenebrismo di Piazzetta e al rococò di Sebastiano Ricci. “Ricordi dallo stile di questi maestri vengono assorbiti e rielaborati entro una maniera che non rinuncia alla solidità strutturale delle figure, ma le riveste di colori sfolgoranti, impreviste cadute d’ombra, segnando un’alternativa sulla quale si muoveranno alcuni grandi artisti, non facilmente assimilabili alle correnti di successo: Giambattista Pittoni e, soprattutto, Giambattista Crosato[2]”.
[1] L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano del Grappa 1796, III, pp. 384-385
[2] D. Ton, op. cit., p. 55.
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